Lei era rimasta disposta a mantenere i contatti in una logica di contenimento dei danni, purché al di fuori di una relazione ormai percepita come morbosa.

Tizio, condannato a 3 anni ed 8 mesi di reclusione – oltre alle statuizioni accessorie ed a quelle civili – poiché ritenuto colpevole dei reati di percosse, violenza privata, violenza sessuale, diffamazione aggravata ed atti persecutori, ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano. La Cassazione, con sentenza 36621/2019, conferma le condanne per tutti gli altri reati, assolvendolo da quello relativo agli atti persecutori (stalking). In sostanza, la Corte ha ritenuto che tra la vittima e Tizio vi fosse ancora un rapporto amicale,  pur riconoscendo che la vittima era rimasta disposta a mantenere i contatti con Tizio in una logica di contenimento dei danni, purché al di fuori di una relazione ormai percepita come morbosa. La relazione amicale non si sposerebbe con le «finalità perseguite dal Legislatore» che nel 2009, con la riforma, ha inteso «tutelare il soggetto da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, con il fine di garantire alla personalità dell’individuo l’isolamento da influenze perturbatrici.». L’aver mantenuto i rapporti, seppur nella logica di cui sopra, non ha permesso di provare gli elementi costitutivi del reato, quali «il perdurante e grave stato di ansia e di paura» che incida sulle abitudini di vita della vittima, o «il timore per la propria l’incolumità o per quella di una persona cara». Ancora una volta, sembrerà strano, ma è così.

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